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Smart Working

Lo Smart Working o lavoro agile, non è una novità, già all’inizio del nuovo millennio con l’avvento di internet molti settori produttivi hanno iniziato a sperimentare questa metodologia soprattutto per quelle attività che venivano svolte esclusivamente a terminale vedi Call Center, Programmazione Informatica, Servizi di Help Desk e tanti altri.

Il Covid 19 ha però accelerato l’uso generalizzato di questa metodologia che di fatto ha rivoluzionato il mondo del lavoro, consentendo di lavorare rimanendo a casa.

Capire però cosa ha significato lo Smart Working non è immediato. Durante la fase più acuta dell’emergenza lo Smart Working ha coinvolto il 97% delle grandi imprese, il 94% delle PA italiane e il 58% delle PMI, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori agili, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, oltre dieci volte più dei 570mila censiti nel 2019. A settembre 2020, tra rientri consigliati e obbligatori, gli smart worker sono scesi a 5,06 milioni, suddivisi in 1,67 milioni nelle grandi imprese, 890 mila nelle PMI, 1,18 milioni nelle microimprese, 1,32 milioni nella PA: in media i lavoratori nelle grandi aziende private hanno lavorato da remoto per la metà del loro tempo lavorativo (circa 2,7 giorni a settimana), nel pubblico 1,2 giorni a settimana.

Non solo, la maggior parte dei lavoratori ha dichiarato di aver apprezzato i vantaggi dello Smart Working e di voler continuare a praticarlo anche a regime. A conquistare è stata la crescita di autonomia e la possibilità di dimostrare con i risultati il valore professionale. Inoltre, un recente studio svolto da FPA ha rilevato che, superata l’emergenza, solo il 6,4% dei lavoratori pubblici vorrebbe tornare a lavorare come un tempo, mentre oltre il 93% vorrebbe proseguire con lo Smart Working, di questi il 27,6% sceglierebbe di lavorare sempre da remoto, il 66% vorrebbe ri-bilanciare lavoro remoto e in presenza. La larghissima maggioranza dei lavoratori inoltre (89%) pensa comunque che l’emergenza abbia permesso di acquisire un’esperienza preziosa che vada capitalizzata per il futuro.

Fonte digital4.biz

 

C’è da dire che l’argomento nella sua trattazione assume un contorno decisamente diverso quando questo riguarda la didattica. Innanzitutto parlare di trasformare la didattica in presenza in teledidattica significa stravolgere un modello organizzativo che si porta avanti da almeno un paio di millenni senza mai aver mostrato segni di cedimenti; esigenza di adeguamento ai tempi si, ma la didattica in presenza soprattutto nelle scuole elementari ad oggi non può essere sostituita “Tout Court” solo perché ci si è accorti delle sue tante opportunità. Da parte nostra siamo convinti che le modalità sino ad oggi applicate, considerati i livelli di stress misurati tra i Docenti e gli Alunni dopo una lezione, fa ritenere che la metodologia, le apparecchiature, i contenuti, sin qui utilizzati vanno totalmente rivisti per essere realmente funzionali allo scopo. In un’ottica di innovazione non ci deve scoraggiare il pensiero secondo il quale raggiungere i livelli minimi di efficacia della didattica in presenza significa il totale stravolgimento con altre tecnologie di quanto sino ad oggi ci è dato a conoscere e fare.

Sappiamo che il metodo non ha funzionato, nella misura in cui non ha garantito i livelli di qualità garantiti dal metodo tradizionale, il “cosa fare” sarà la scommessa a cui è chiamata a rispondere la scuola negli anni a venire con sperimentazioni e proposte che ad oggi non sono nel cilindro di un mago ma devono coinvolgere tutti gli attori per creare un nuovo approccio e ripensare insieme alle soluzioni possibili.

Intanto però si deve cercare di migliorare la qualità e la sicurezza rispetto a quello che siamo chiamati a fare oggi con quanto disponibile in caso di emergenza.

A questo proposito gli ambiti di intervento sono molteplici in quanto sono la conseguenza dell’uso di internet come canale di comunicazione. L’adozione delle piattaforme DAD comporta innanzitutto la corretta applicazione del GDPR che non è un argomento da poco considerato che gli utenti sono minori per i quali la regolamentazione della privacy è molto severa e aggiungiamo “giustamente”.

Sull’argomento GDPR e sulle reali motivazioni che hanno portato l’unione europea a creare questa norma uguale per tutti gli stati membri ci torneremo presto con uno specifico articolo, intanto abbiamo il dovere di applicarla e farla applicare pedissequamente introducendo nel modello organizzativo della scuola un sistema di procedure attive che successivamente alla fase iniziale possa garantire … continua